15/06/09

Attività fossilifere

Il mondo dei fossili è sicuramente affascinante e appassionante, ma cosa c’è dietro la soddisfazione di poter ammirare un pezzo, meglio se pregiato, nella nostra vetrina? Sicuramente un assiduo e a volte faticoso lavoro di ricerca sia teorica che pratica (per intenderci: dal massiccio volume di paleontologia alla mazzetta da 4kg.), una approfondita ed aggiornata conoscenza delle norme che regolano la ricerca, il possesso ed il commercio dei fossili nei vari paesi, onde non incorrere in spiacevoli sanzioni (a volte non solo di carattere pecuniario) e, ultimo ma non meno importante, un certosino lavoro di pulizia, preparazione e consolidamento del reperto. Liquidiamo subito e in poche parole la questione legale. Attualmente in Italia la legge 1089/39 è categorica: i ritrovamenti fossili di qualsiasi natura sul territorio italiano sono di proprietà dello Stato, che, a fronte di una denuncia di possesso dei vari reperti, concede o meno al denunciante la possibilità di tenerli in ‘alloggio’ presso la propria abitazione. Ne va da se’ che il commercio di tali reperti è vietato. Al paleontofilo italiano non rimane altro che affacciarsi ai siti o mercati di pezzi stranieri, anche direttamente nei paesi d’origine, nei quali la legislazione in materia è decisamente più liberale. Ma torniamo a noi… Una buona ricerca sul terreno presuppone un’adeguata conoscenza di base sia dell’oggetto di tale ricerca (i fossili) che della conformazione dei siti nei quali ricercare (stratigrafia, sedimentologia, petrografia ecc.). Non vogliamo dire certo che sia necessaria una laurea in Geologia, ma certamente la lettura di testi sull’argomento (o gli argomenti) non guasta. In commercio ne esistono di svariati e più o meno approfonditi; i più esigenti possono rivolgersi alle varie associazioni paleontofile italiane o straniere, le Università, le biblioteche, i musei o, in Italia, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (in particolare per le cartine geologiche, indispensabili per sapere dove si ‘mettono i piedi’) Una volta individuati l’obbiettivo e il luogo della ‘missione’, si parte. Indispensabile è un’attrezzatura adeguata al tipo di roccia che si va ad affrontare (dalla ‘zappetta’ per terreni marnosi o comunque ‘morbidi’, a scalpelli, mazze e piede di porco per calcari compatti e duri). Cosa facciamo se siamo stati abbastanza bravi e fortunati da aver trovato un fossile? L’estrazione è un’operazione solo apparentemente semplice. Per prima cosa un fossile è molto delicato, spesso dopo ore di lavoro ci si ritrova nelle mani un mucchietto di irrecuperabili frantumi (sigh!) oppure nel tentativo di estrarre una piccola ammonite, ne spezziamo incautamente una adiacente, e molto più rara. Per questo motivo è consigliabile asportare insieme al ‘pezzo’ anche una buona parte della sua matrice, per poi eseguire il lavoro di pulizia comodamente a casa. Le tecniche per una corretta pulizia dei reperti differiscono a seconda del tipo di matrice nel quale sono inglobati. Si va dal classico scalpellino di varie dimensioni e foggie, allo spazzolino (proprio quello da denti!), all’acido, fino a strumenti più tecnologici come una stilomarcatrice e un piccolo trapano elettrico munito di microfrese. Prima dell’esposizione in vetrina, ci si pone il problema forse più grande: cos’è? Individuare la tassonomia di un reperto, cioè dargli un nome (e una famiglia), è, oltre che imprescindibile per il giusto completamento scientifico del nostro lavoro, ciò che differenzia l’opera di un paleontofilo coscienzioso da quella di un collezionista senza scrupoli.

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